Cenni storici
La storia della “Taglia” è vecchia quanto quella delle tombe osco-sannite rinvenute ai primi del ‘900. Era una vasta area agricola di proprietà dei Signori Loffredo, principi di Cardito, in cui sorgeva una cava di tufo, pozzolana e lapillo dalla quale si ricavavano “tagliandole” le pietre utilizzate per la costruzione delle case. Fin dai primi del ‘500, i Loffredo hanno sfruttato la “Taglia” per ricavarne pietre di tufo, pozzolana e lapillo, essi disponevano di una squadra di operai esperti che erano al servizio fisso del principe e che avevano casa in un cortile – fino a pochi decenni addietro era indicato come “il luogo” cioè il palazzo della “Taglia” – di proprietà del principe e che confinava con il boschetto del Castello nei pressi dell’attuale “Vico giardino”. Nel 1580, il principe Loffredo, per sua volontà, diede ordine di costruire, proprio di fronte al suo Castello principesco, che possiamo mirare in piazza Garibaldi, una Chiesa dedicata al culto di San Biagio, Patrono di Cardito, e per l’occasione mise a disposizione la sua cava millenaria per ricavarne materiali occorrenti per la sua costruzione. Si narra che: alcune centinaia di uomini, ogni domenica, partendo dalla “Taglia”, dove si ricavavano le pietre di tufo per la costruzione dell’oggi “Santuario di San Biagio”, di mano in mano le trasferivano fino alla piazza in segno di devozione. I terreni circostanti la cava, erano messi a coltura da contadini che vi seminavano ortaggi di ogni genere, v’era anche il diritto di lava, un antico “jus” che concedeva, agli agricoltori, la possibilità di utilizzare le acque di scarico dell’epoca che giungevano nel sito dalla zona di Napoli alta e che venivano spartite dagli stessi per irrigare le loro terre. Nella stessa area, durante il ‘700 – ‘800, quando a Cardito era fiorente la coltura del baco da seta, la “Taglia”, dove vegetavano grossi alberi di gelsi, forniva la cosiddetta “foglia” per i bachi e appropriarsi di quella era un reato perseguibile a norma di legge. Dopo secoli di sfruttamento delle sue risorse la cava fu abbandonata. Le acque provenienti da Napoli lentamente finirono per colmarla trasformandola in un “mare morto” maleodorante e pericoloso per la salute. I proprietari terrieri e i fittuari, a voce alta, si lamentarono della condizione in cui versava la “Taglia” e della minaccia di alluvione che essa poteva provocare sulle loro terre coltivate per colpa delle acque provenienti dal capoluogo partenopeo. In risposta, il Comune di Napoli pensò di acquistare i terreni circostanti e ne vietò la messa a coltura con l’intento di poter continuare a sversare le sue acque reflue nella “Taglia”, ma dopo una attenta considerazione delle condizioni critiche in cui versava l’intera area e dopo una grossa vertenza giudiziaria, esso finì col cedere, anche a seguito di una disastrosa inondazione nel 1969. L’intera area passò sotto la tutela del Comune di Cardito con l’intento di quest’ultimo di bonificarla e trasformarla in una grande area di verde pubblico attrezzato, in un centro di aggregazione dove sarebbe stato possibile incontrarsi, fare ed assistere ad eventi sportivi, culturali ed altro, non solo per i cittadini di Cardito, ma per l’intera area dei Comuni a nord di Napoli.
Quello di cui possiamo godere oggi è storia attuale.
Bibliografia:
La nostra terra – Cardito (1986) di Gaetano Capasso
San Biagio V. e M. (1994) di Gaetano Capasso